Il modo più semplice e naturale per imemrgersi è quello in apnea inspiratoria, cioè dopo aver compiuto un atto inspiratorio più o meno profondo.
Questa è la condizione più semplice e la permanenza sott'acqua sarà necessariamente di durata molto limitata, le durate di immersioni sono normalmente brevi, ma anche se facili non sono scevre da pericoli, ma possono verificarsi vari problemi di ordine fisiopatologico, anche durante immersioni brevi, con problemi di notevole gravità specie se vengono effettuate in condizioni ambientali sfavorevoli..
Lo stato di apnea, causa brachicardia, più o meno marcata, a seconda dello stato emotivo, il responsabile della brachicardia è il contatto del corpo, soprattutto del viso con l'acqua.
Ma nell'immersione si ha un complesso coinvolgimento del sistema neurovegetativo, che in qualche modo riprende alle modificazioni che hanno i mammiferi marini quando si immergono, riuscendo a fare delle apnee lunghissime, tramite un minore flusso sanguigno periferico, un maggiore metabolismo anaerobico ed un flusso preferenziale del sangue ossigenato nel cuore e nel cervello.
Quando si interrompe la respirazione, continuano gli scambi gassosi nell'apparato respiratorio, quindi si continua ad assorbire l'ossigeno presente nell'aria dei polmoni, quindi si continuaa consumare ossigeno e viene immessa anidride carbonica.
Questo scambio può essere accentuato in presenza di un maggiore esercizio muscolare e di temperature fredde. Diminuendo l'ossigeno nell'aria alceolare, si ha una diminuzione della pressione dell'ossigeno anche nel sangue, mentre con l'accumulo di anidride carbonica nei polmoni si ha un aumento della sua concentrazione ematica.
Queste variazioni del contenuto gassoso del sangue, hanno dei risentimenti su tutti i tessuti ed organi, in particale sui centri nervosi che controllano la respirazione.
Questi centri sono molto stimolati, sia per effetto diretto della pressione del gas, sia per delle azioni riflesse, in via diretta sono molto sensibili alle variazioni di pressione dell'anidride carbonica nel sangue arterioso ed a quelle dell'acidità del sangue, che, quando aumentano determinano subito un aumento della ventilazione al fine di incrementare l'eliminazione della CO2.
Sotto l'aumento di anidride carbonica, l'organismo si trova nella necessità di una maggiore quantità di ossigeno, deve espellere anidride carbonica, ed i centri nervosi che vengono stimolati determinano un aumento della ventilazione polmonare.
Ma l'apneista che rimane volontariamnete in apnea, riceve una spinta a riprendere la respirazione, che viene avvertita con una progressiva "fame d'aria", continuando a lungo l'apnea, il senso di "fame d'aria" diventa molto intenso ed a seguito degli stimoli inviati dai centri respiratori, possono comparire delle contrazioni spontanee ed incontrollabili più o meno frequenti ed estese, dei muscoli respiratori e soprattutto del diaframma, le c.d. contrazioni diaframmatiche.
Esistono dei fattori secondari che limitano l'apnea volontaria, gli stimoli dovuti alla distensione dei polmoni, alla contrazione del diaframma e dei muscoli intercostali, gli stimoli da posizione, stimolazioni che diventano più frequenti con il prolungarsi dell'apnea.
Quando con l'allenamento e la volontà viene superata l'influenza dei fattori secondari, sopraggiunge la necessità di interrompere l'apnea che è determinata dalla diminuzione dell'ossigeno e dell'anidride carbonica, pertanto quando questi stimoli sono troppo insistenti, l'atleta è costretto a riprendere a respirare, questo viene definito "punto di rottura dell'apnea".
Continuare a prolungare l'apnea, in queste condizioni di "sofferenza", causa la sincope anossica, se viene prontamente prestata assistenza all'atleta si può recuperare facilmente conoscenza e continuare la respirazione.
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